Endometriosi – La storia di Simona

Bentornate! Dopo avervi raccontato la testimonianza di Maria Antonietta, oggi potrete leggere la storia di Simona, che ci parlerà della sua esperienza con l’endometriosi.

Ciao Simona, partiamo dal principio. Come sei arrivata alla conclusione di soffrire di endometriosi?

Ciao a tutte, sono Simona, ho 37 anni, sono sposata e mi occupo di moda. Creo abiti e ho ideato una linea di t-shirts dallo stile molto fashion. Vi scrivo delle mie magliette perchè sono il frutto della mia grande passione. Sono un po’ le mie bambine, quelle che non ho mai potuto e che non potrò mai avere. Già… Perchè proprio tre anni fa’ la mia vita è cambiata grazie all’endometriosi.

Come avrete già letto negli articoli precedenti, la diagnosi precoce è fondamentale per evitare che la malattia faccia troppi danni… un po’ come è accaduto a me. Per due anni ho cercato invano una gravidanza, ma ormai il ciclo era diventato insopportabile. I dolori mi impedivano il normale svolgimento delle attività quotidiane, come andare al lavoro, uscire o, semplicemente, stare seduta. Ma non ero, sfortunatamente, in possesso di una diagnosi precisa.

Come sei arrivata alla diagnosi?

Solo dopo aver fatto un ecocolordoppler, mi fu consigliato da alcuni medici con i quali ero in cura, di partire a Negrar, sede e centro d’eccellenza nazionale per la cura dell’endometriosi.

Qui mi diagnosticarono subito un’endometriosi severa di IV grado e fui messa sotto pillola continuativa fino all’intervento. Fui operata per la prima volta il 22 Febbraio 2017, giorno dell’inizio del mio calvario. Mi sottoposero ad un intervento di laparoscopia, durato circa 7 ore. Al mio risveglio dissero che l’intervento era riuscito e che la malattia era presente ovunque: utero, ovaie, nervi, sottoretto vaginale, uretere, colon e arteria uterina. Ciò che fecero fu una resezione intestinale e vaginale, come da protocollo. Nei giorni successivi era sparito lo stimolo per urinare, quindi feci autocateterismo ogni 4 ore per urinare. il tutto rientrava nella norma ma io mi sentivo sempre più debole.

Cinque giorni dopo l’intervento ebbi dei dolori fortissimi e stavo malissimo. Le suture del tratto intestinale cedettero provocando una peritonite per cui dovetti tornare in sala operatoria. L’intervento durò circa 6 ore. Fui messa per un’intera giornata in terapia intensiva e, successivamente, fui trasferita in chirurgia generale  con una colonstomia (non ero più in grado di scaricare autonomamente le feci, che vennero deviate in una parte dell’intestino portato all’esterno attraverso una sacca).

Mi ripresi nel giro di due settimane. Nel frattempo la fistola che si era formata nell’uretere si era aperta, per cui fuoriuscivano le urine. Da questa ulteriore situazione, ne ricavai altri tre interventi nei quali mi posizionarono del doppi J e degli stent. Intanto ero immobilizzata a letto. Per risolvere questa situazione dovetti tornare in sala operatoria e mettere una nofrostomia (un tubicino inserito parzialmente nel rene) preservando così l’uretere dal passaggio dell’urina.

Ero stremata. A questi, seguirono altri cinque interventi in laparoscopia e parascopiia, per arginare emorragie e trasfusioni. Non mi fu nemmeno risparmiata la terapia intensiva. In 3 mesi subii dieci interventi. Avevo sacche ovunque. Persi 10 kg.

Tornai a casa Maggio, ma facevo ancora l’autocateterismo ed ebbi la colonstomia fino a Settembre. Fu nell’undicesimo intervento che mi ricanalizzarono. Nei mesi successivi al mio rientro a casa ero molto debole. Non potevo uscire per via dell’autocateterismo e delle sacche. Il mio addome era lacerato dalle ferite, quelle visibili sulla pelle. Quelle invisibili sono ancora scolpite nell’anima.

Oggi come convivi con l’endometriosi?

Non mi volevo arrendere, e per fortuna non lo feci. Ho combattuto. E insieme a me l’ha fatto il personale dell’ospedale, pronto a sorreggermi ogni volta che ho pensato di non farcela. Credete a me, quelle volte non sono state poche!

Ci è voluto tantissimo tempo prima che riprendessi un po’ di peso e le forze. Da quel Febbraio 2017 non sono più la stessa persona, sia fisicamente che umanamente. Ancora oggi faccio cicli completi di fisioterapia per il recupero addominale e pelvico e, ahimè, faccio più fatica a svolgere il quotidiano.

Questa malattia limita le funzionalità fisiche, sfinisce nel dolore e , purtroppo, a livello mentale ci fa smettere di sentirci donne, nel momento in cui ci viene negata la maternità.

Perchè hai deciso di parlarne?

Questa è la mia storia. Purtroppo non esattamente felice. Ma la vorrei testimoniare come un accorato appello a tutte le donne (in particolare a quelle sarde, che sembrerebbero essere più colpite) affinchè non si trascurino e, al primo segnale di dolore, si rivolgano direttamente agli specialisti. Questo per impedire che la malattia cresca ulteriormente nel nostro corpo, fino ad impossessarsi completamente della nostra vita.

Mi auguro che nel prossimo futuro si possa trovare la causa che scatena questa patologia e la giusta cura per sconfiggerla. Così che nessuna donna debba più soffrire per essa.

Cosa ti senti di dire alle ragazze che si stanno approcciando alla malattia?

Il Dott. Manuel Maria Ianieri, ginecologo che mi ha seguita in tutto questo calvario e che , tutt’ora, è il mio punto di riferimento, si è impegnato tanto a far sì che anche in Sardegna ci fosse un ambulatorio specializzato in endometriosi. Si trova al Mater di Olbia, dove tante ragazze adesso possono andare a curarsi, sentendosi in buone mani. Quindi ragazze, sappiate che, qualora aveste necessità, a Olbia troverete un ambulatorio specializzato, gestito da medici esperti, uno dei quali è appunto il Dott. Ianieri.

Vorrei ancora dire a tutte coloro che soffrono di endometriosi, di non trascurarsi, di non vergognarsi, di urlare al mondo intero che, anche se non siamo madri, siamo DONNE.

Io sono 1 su 10 e ce l’ho fatta, quindi possiamo e dobbiamo farcela tutte.

Ringraziamo Simona per la sua disponibilità, e vi ricordiamo che potete trovare tantissime informazioni utili sul sito https://www.endometriosi.it/

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